ARCHITETTURA DELLA CHIESA
La chiesa principale della Parrocchia, dedicata ai Santi Vito e Modesto martiri, nasce più piccola dell’attuale Era a un’unica navata e forse senza abside nel presbiterio che risultava essere sotto l’attuale cupola. Oggi la pianta della chiesa si presenta a croce latina, composta da tre navate, si sviluppa in un ampio transetto e imponente presbiterio intervallato da sei alte lesene con capitello corinzio, trabeazione e abside intervallato dai prolungamenti ad arco delle lesene e da tre grandi finestre. Sopra l’incrocio del transetto si trova una cupola ad arco ribassato, agli estremi l’altare di San Giuseppe e quello della Madonna. Una volta a botte sulla navata centrale è rialzata rispetto a quelle laterali, da cui è divisa da pilastri con arco al di sopra dei quali c’è una serie di finestre. Questi pilastri sono ciò che rimane del muro perimetrale della chiesa più antica. Dei finestroni ad oblò danno luce alle navate laterali.
Ai lati del coro ci sono due sacrestie di cui la più ampia, quella di destra, è oggi adibita a cappella invernale.
Lato sinistro: accesso al campanile edificato nel 1700.
Lato destro: a metà della navata si trova una pregevole “Madonna del latte” (o “delle Grazie”), affresco portato via dal distrutto Santuario dell’ex convento francescano in via Santa Maria in Campo. La decorazione pittorica della chiesa fu eseguita nel 1940 dal maestro Conconi, ad esclusione dei cinque affreschi absidali risalenti agli anni Sessanta del 1700 ad opera probabilmente dei Quaglio della Valdintelvi.
CICLO PITTORICO DEL MARTIRIO
Sulle pareti del presbiterio figurano cinque dipinti nei quali sono ritratte scene della vita e del martirio dei due santi patroni. A destra c’è il miracolo della liberazione dagli spiriti impuri del figlio dell’Imperatore, poi il tentativo di dare la morte ai due santi immersi nell’olio bollente. Nel centro l’apoteosi o ascesa al Cielo dei due santi. A sinistra i santi tra i leoni che si rivelano mansueti e i due santi che vengono mortalmente flagellati, mentre l’Imperatore e i suoi consiglieri si ritraggono spaventati dall’improvvisa furia degli elementi naturali e dall’apparizione di due angeli recanti i simboli del martirio.
L’autore dei dipinti è probabilmente uno della famiglia Quaglio, forse Domenico Quaglio di Laino Intelvi. In realtà alcuni studi molto recenti stanno portando a informazioni diverse.
APOTEOSI
Nell’affresco al centro dell’abside i martiri, sorretti da angeli, vengono accolti nella gloria celeste dalla virtù della Carità, mentre la Speranza osserva estasiata la Fede invita l’osservatore a guardare e imitare. L’autore è il medesimo degli altri dipinti.
BATTESIMO, MORTE E TRASLAZIONE
Il Conconi nel 1940, completò il restauro decorativo dell’intera chiesa con questi due dipinti realizzati ai lati del presbiterio. A destra, sopra la porta della ex sacrestia/cappella invernale vi è il battesimo di san Vito. Al suo centro, riconoscibile per il vestito anacronistico rispetto al resto dei personaggi, spicca la figura del finanziatore principale dei lavori di restauro pittorico del 1940, il signor Enrico Verga di Cermenate. Sul lato sinistro del presbiterio, invece, è la scena della morte e della traslazione dei due santi martiri.
L’ALTARE MAGGIORE
La decorazione è realizzata con marmi di diverso colore; la mensa è sopraelevata di tre gradini. Sull’altare vi sono due ripiani: il superiore per sei grandi candelieri e per il Crocefisso intagliati in legno e dorati (provenienti secondo la tradizione dal Duomo di Como); il ripiano inferiore ha al suo centro un grande tabernacolo con due colonnine e angioletti in marmo chiaro.
Materiale per la costruzione: laterizio con rivestimento marmoreo (bianco avorio, giogo venato, rosso e verde venati, rosso salmone venato).
L’autore è ignoto.
MADONNA DEL LATTE
Si trova a metà della navata destra della chiesa prepositurale dei Santi Vito e Modesto, proveniente dal Santuario dell’ex Convento francescano di via Santa Maria in Campo. L’autore è un ignoto della scuola lombarda, la data di realizzazione è il XV secolo circa.
BUSTO DI SAN VITO
San Vito indossa un cimiero piumato e la corazza di cuoio al di sotto del mantello. Ha in centro del petto una finestrella, sormontata da un angioletto, con un frammento d’osso umano come reliquia.
L’autore è ignoto; probabilmente venne eseguito nel 1765 e riconosciuto dal Vescovo nel 1863. Il materiale di composizione è legno policromo su cui spiccano l’oro zecchino dei ricami su campo rosso vivo.
STENDARDO
Il riquadro centrale è contornato da una ricca cornice a motivi floreali ricamati in oro e piccole pietre colorate. Ai lati a metà, due tondi coi santi Pietro e Giuseppe.
L’autore è ignoto, da datarsi intorno al XVIII-XIX secolo.
Realizzato con ricami in oro su raso bianco e pietre colorate nella fascia esterna, il riquadro centrale e i tondi sono tessuti ad arazzo.
La sua foto è riportata nella pagina della chiesa di San Vincenzo.
L’ORGANO
I vincoli e le suggestioni che la struttura settecentesca della chiesa dei Santi Vito e Modesto hanno posto nella scelta della collocazione e della forma dell’organo sono stati il riferimento costante nella sua progettazione.
Gli spazi della chiesa di Cermenate non offrono la possibilità di collocare l’organo nel presbiterio né in posizione ad esso vicina. Il vincolo ed il rispetto delle caratteristiche spaziali settecentesche dell’edificio, coerenti e vive in tutte le sue parti, hanno fatto optare per la soluzione tradizionale di mantenere l’organo sopra l’ingresso, nella navata centrale.
La realizzazione di un “coralino”, piccolo organo per l’accompagnamento del canto, posto a sinistra del presbiterio, integra le esigenze di uno strumento strettamente destinato a supporto del canto liturgico.
L’organo costruito nel 1991, non ha una vera e propria cassa armonica centrale contente le canne dei vari registri. Si è optato per una soluzione che aveva il pregio di lasciare libera la finestra della facciata, che tanta parte ha nell’equilibrio dell’illuminazione della chiesa. Uno degli intenti della progettazione è stato quello di non rinunciare a questa luce che piove dall’alto e che dilata longitudinalmente la navata principale.
Si è trattato di definire un volume ed una forma che si inserisse nell’architettura, integrandosi ad essa: si è voluto armonizzare il volume del nuovo strumento con la curvatura della grande volta. La parrocchiale dei Santi Vito e Modesto è stata costruita con caratteristiche “barocche” e le ha conservate, nelle variate vicende del suo completamento, negli spazi, nelle decorazioni, nei colori: lo studio dell’organo si è naturalmente indirizzato verso uno strumento con caratteristiche strutturali e musicali rievocanti l’epoca barocca.
La scelta del tipo di strumento, delle sue caratteristiche e specificità, è nata da un intenso dialogo preparatorio durato più di un anno ed una attiva collaborazione con Eugenio Mascioni e gli altri componenti della casa organaria di Cuvio, che ha portato il contributo di grande competenza musicale anche per definire i problemi formali: forma e musica, musica e colore sono stati interpretati unitariamente.
E stato quindi progettato uno strumento articolato in due volumi, con l’organo positivo detto tergale perché posto alle spalle del suonatore, integrando diverse esigenze: quella di rispettare la luce della finestra della navata, quella di porre l’organo positivo in posizione più vicina all’assemblea in modo da accompagnare il canto corale di tutti (è questa una scelta che interpreta la partecipazione liturgica, musica e canto, estendendoli a tutta la comunità e non sottolineando la tendenza “concertistica” della corale separata), ed infine la volontà di riproporre le caratteristiche dell’organo barocco della migliore tradizione centro-europea.
L’organo con il positivo tergale non era sino ad ora presente nella diocesi comasca, e sono rari gli esempi in Italia. La proposta per Cermenate è un organo caratterizzato e specifico, che costituisca una voce particolare tra le presenze, varie e diverse, del patrimonio organistico della diocesi.
Scelta la struttura ed i conseguenti volumi, il disegno ha articolato le forme ed i dettagli riprendendo per accenni e rievocazioni le caratteristiche decorative ed artistiche della chiesa, lo spessore delle cornici, le linee di luce ed ombra delle gole e degli sporti. Prevale comunque sui dettagli la forma delle due grandi ali, a segmento di cerchio, che racchiudono l’occhio di luce della facciata, e prevale il profilo del positivo tergale, che ricorda le proporzionale leggerezze del ‘700.
I colori sono il più esplicito collegamento tra l’antico ed il nuovo: la cassa armonica dell’organo ha colori chiari, luminosi. Ma anche in questa scelta si è trattato di “leggere” con attenzione quanti colori già decoravano l’edificio: sopra l’arcone che regge la cupola, vista dalla parte del presbiterio vi è un cartiglio, con la dedica ai Santi Vito e Modesto. Il verde azzurro e la luminosità di questo cartiglio sono gli stessi di cui è stato dipinto l’organo. Stesso colore peraltro che emerge dai fondali fantastici degli affreschi dei Quaglio.
Dunque è ancora quella interpretazione data dagli artisti del ‘700, (visione poetica di primaverili luminosità mattutine, soffuse di brume), riecheggiata poi dal Conconi nei suoi affreschi e decorazioni, che è stata ripresa: meditazione inviata da lontano e protratta nel tempo, come avviene per le opere che sono frutto di una collettività e che sono destinate a durare, oltre alle singole vicende.
L’organo di Cermenate è composto “rovesciando” la disposizione consueta delle canne. Nella tradizione antica, ripresa quasi sempre anche nelle realizzazioni contemporanee, la facciata dello strumento è composta dalle canne più grandi, che costituiscono l’apparato decorativo, e nascondono la parte degli elementi suonanti di dimensioni più piccole. La facciata normalmente è composta dalle canne di lega di colore argentato e comunemente si pensa che tutti gli elementi dell’organo siano dello stesso metallo. Al contrario, alla molteplicità dei suoni corrisponde diversità di materiali: canne di stagno e piombo dunque, ma anche di rame e di legno.
Si è pensato che il nostro tempo è caratterizzato più dall’interesse per la struttura delle cose che per le forme di facciata; è latente un desiderio di conoscere come le cose sono costruite, come funzionano. L’interesse dei bambini e dei ragazzi è attratto più facilmente da un meccanismo in funzione che da una forma che lo nasconde.
Dunque per lo strumento musicale è stato scelto il criterio dell’evidenza: che gli elementi siano palesi e l’occhio dell’osservatore possa indagare tra la molteplicità dei componenti, e rendersi conto, almeno in parte, della complessità della struttura.
Porre in luce la complessità significa, nella poetica moderna, accostare e coordinare elementi diversi e, dando ad essi armonia, ricostituire la “decorazione”.